Nel corso dell’anno appena trascorso, siamo stati tra i primi ( e tra i pochi…) a sottolineare che i dati macro non suggerissero affatto un’inflazione transitoria come si ostinava a sostenere la FED ma viceversa, grazie ad una lunga serie di dati che abbiamo esploso ed analizzato nel corso del 2021, che la crescita dei prezzi poggiasse su basi più che solide. Fatti, numeri e contributi online ne danno ampia testimonianza. Adesso cosa è lecito attendersi?
A prescindere da qualunque considerazione di politica monetaria, i tassi di interesse dovranno aumentare, visto che l’inflazione sembra tutt’altro che transitoria, al contrario di quanto hanno cercato di raccontarci nel corso della seconda parte del 2021. In tutto il mondo, la situazione inflazionistica è molto preoccupante. L’area euro ha appena raggiunto il record inflattivo di sempre. Il tasso di inflazione annuo degli Stati Uniti per 12 mesi rolling, a novembre 2021 è stato del 6,8%: il valore più alto da circa 40 anni. In Canada, è ai massimi da molti decenni, mentre nel Regno Unito è ai valori più alti dal 1992.
Tanti spesso faticano a comprendere a cosa ci stiamo riferendo concretamente. Per tentare di essere più chiari, l’ultima volta che negli Stati Uniti l’inflazione è stata così alta, si potevano acquistare titoli decennali del Tesoro al 9%, contro l’1.5-1.7% di oggi. D’altra parte, sebbene la forbice che si è creata tra inflazione e tassi di interesse risponda a precise necessità, non riteniamo che potrà essere ancora per lungo tempo sostenibile agli attuali livelli. Ciò comporta che, a meno di assistere ad un’improbabile rapido rallentamento dell’inflazione, i tassi di interesse aumenteranno.
Dobbiamo anche considerare che entriamo nel secondo anno della presidenza Biden: nelle ultime nove presidenze, il secondo anno è sempre stato statisticamente difficile per i mercati azionari. Se consideriamo inoltre che ci troviamo probabilmente, a partire da marzo, alla vigilia dei rialzi dei tassi di interesse, non possiamo aspettarci che le società tecnologiche reagiscano positivamente, visto che di solito il loro andamento è inversamente correlato agli effetti delle manovre di politica monetaria restrittiva della FED. E non dobbiamo dimenticare un altro elemento importantissimo; il 25% dell’indice S&P500 è rappresentato da sei titoli tecnologici (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Facebook, Tesla). Un aumento dei tassi potrebbe avere ripercussioni molto pesanti su questi titoli e di conseguenza sull’indice, creando così un effetto domino.